I prodotti della vendita diretta

Disciplinati dal d.lgs n.228/01

Il d.lgs n. 228/01, diversamente da quanto disposto dalla legge n. 59/63, consente all’imprenditore agricolo di poter commercializzare prodotti non provenienti dalla propria attività aziendale, seppur non prevalenti rispetto a quelli propri, ovvero derivati e ottenuti dalle attività di manipolazione o trasformazione inerenti il ciclo produttivo dell’impresa, senza doversi munire di autorizzazione commerciale e quindi avvalendosi della comunicazione presentata ai sensi dell’art. 4.

Va da sé che se si condivide l’interpretazione che ritiene vigente ancora la legge n. 59/63 per i produttori agricoli non iscritti al registro delle imprese, questi potranno porre in vendita solo prodotti che provengono direttamente dal fondo agricolo in quanto non possono usufruire delle agevolazioni concesse dall’art. 4 del d.lgs n. 228/01 solo a coloro che si iscrivono al registro delle imprese come imprenditori agricoli.

La possibilità però concessa al produttore agricolo di vendere anche prodotti acquistati da altri produttori o commercianti è limitata dall’art. 4, comma 8, del d.lgs n. 228/01 che dispone: Qualora l'ammontare dei ricavi derivanti dalla vendita dei prodotti non provenienti dalle rispettive aziende nell'anno solare precedente sia superiore a lire 80 milioni per gli imprenditori individuali ovvero a lire 2 miliardi per le società, si applicano le disposizioni del citato decreto legislativo n. 114/98”.
Questo limite quantitativo dei prodotti acquistati deve, però, essere coordinato con la disposizione contenuta nel primo comma del citato art. 4 che recita “Gli imprenditori agricoli, singoli o associati, iscritti nel registro delle imprese di cui all'art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580, possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizioni vigenti in materia di igiene e sanità”.

Dal combinato disposto dei commi 1 e 8 dell’art. 4 si ricava che l’imprenditore agricolo, per avvalersi della semplificazione amministrativa che gli consente con una mera comunicazione di effettuare la vendita diretta al dettaglio su tutto il territorio della Repubblica, :

  • deve vendere prodotti che provengono prevalentemente dall’attività agricola da lui svolta in forma di impresa;
  • può vendere in modo non prevalente prodotti che non provengono dall’attività agricola ma che sono da lui acquistati da altri, a condizione che questi prodotti, che non possono essere comunque prevalenti indipendentemente dalla quantità posta in vendita, non producano un ricavo superiore a lire 80 milioni per gli imprenditori individuali ovvero a lire 2 miliardi per le società.

La difficoltà rimane nel controllo di questi limiti: controllo che non può essere effettuato dalla Polizia Locale che, pur avendo quotidianamente contatto con i produttori agricoli che effettuano la vendita diretta al pubblico sia su aree private che nei mercati o in forma itinerante, non posseggono gli strumenti per effettuare verifiche di tipo fiscale.
Il controllo è quindi demandato agli organi di Polizia Tributaria, cui può essere segnalato dalla Polizia Locale ogni eventuale ed ipotetico abuso nella vendita di questi prodotti non ricavati dai fondi agricoli di pertinenza dell’imprenditore agricolo.
Anche su questo tema la nota Anci dà alcune indicazioni:

“La riformulazione dell’articolo 2135 del codice civile, operata dall’ articolo 1 del decreto legislativo n. 228 del 2001, ha chiarito definitivamente che deve considerarsi comunque agricola la commercializzazione dei prodotti agricoli da parte dell’impresa agricola, effettuata sia direttamente al consumatore sia a commercianti o industriali trasformatori, poiché realizza il collegamento con il mercato che è elemento fondamentale dell’impresa agricola come di tutte le altre imprese.
Ai fini della qualificazione dell’attività di commercializzazione come “agricola” è richiesto, tuttavia, in primo luogo un collegamento “soggettivo”: quindi l’attività deve essere svolta dallo stesso soggetto già qualificabile come imprenditore agricolo in quanto svolge in forma di impresa l’attività principale di coltivazione del fondo, di allevamento di animali o di selvicoltura (cfr. articolo 2135 cod. civ.). Inoltre, si richiede un collegamento “aziendale”, cioè di carattere oggettivo, individuato per le attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, nella circostanza che i prodotti provengano prevalentemente dalla attività agricola principale.
Per effetto di questa nuova definizione, non residuano dubbi sulla possibilità per l’imprenditore agricolo di poter effettuare la vendita diretta dei propri prodotti affiancando alla sua produzione aziendale anche prodotti agricoli acquistati, in forma non prevalente, sul mercato.
Circa il significato da attribuire alla condizione della prevalenza, stabilita espressamente dal d.lgs. n. 228 del 2001, è condivisibile l’interpretazione secondo cui vi è prevalenza sulla base di un confronto in termini quantitativi tra i prodotti ottenuti dall’attività agricola principale ed i prodotti acquistati da terzi, confronto che potrà effettuarsi solo se riguarda beni appartenenti allo stesso comparto agronomico. Ove sia necessario confrontare prodotti appartenenti a comparti diversi, la condizione della prevalenza andrà verificata in termini valoristici, ossia confrontando il valore normale dei prodotti agricoli ottenuti dall’attività agricola principale e il valore dei prodotti acquistati da terzi”.

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